sabato 5 luglio 2008

Una malga, una fata e un sogno

La montagna è da sempre ispiratrice di leggente e creature mitologiche, straordinaria letteratura spesso orale che ci riporta miti antichi e affascinanti. Tra tutte queste creature che popolano le leggende di montagna le fate occupano sicuramente una posizione di primo piano e nel libro "Mille leggende del trentino" di Mauro Neri si possono scoprire le storie di molte fate trentine. Eccone un assaggio:

«Cammello», abbiamo caricato il latte e adesso ce ne andiamo! 
Marco mette sul cassone del camioncino l'ultimo bidone «argentato» pieno di latte, fa un cenno a suo fratello Luigi più piccolo che corre a sedersi a lato del conducente, e… - Ci sono problemi se resti da solo e ci vediamo domani pomeriggio? - Andate tranquilli - mormora Abdul, in un italiano stentato. - Ci penso io, alle mucche! Mi pagate per questo, no? Non è la prima volta che Abdul il «Cammello», come lo chiamano i pochi amici che s'è fatto a Dimaro, rimane da solo in malga con le settanta mucche che il Consorzio gli ha affidato. Sarà una gran bella fatica, quella sera e il giorno dopo all'alba, mungere veloce tutte le mucche chiuse nello stallone, ma lui sa che potrà farcela senza problemi. È abituato a sudare, in inverno, al caldo secco della sua lontana Marrakech… È da metà di giugno, ormai, e perciò da più di un mese che Abdul è in malga. Per il sesto anno consecutivo "Cammello" ha affidato ai tre fratelli i venti dromedari della sua piccola azienda di trasporti alla periferia di Marrakech, in Marocco, è salito su un aereo pagando il biglietto con gli ultimi soldi guadagnati in Val di Sole l'estate prima e ha raggiunto l'Italia-Milano Malpensa; su un treno affollato all'inverosimile ha viaggiato in piedi fino a Trento, con un treno più piccolo s'è portato a Dimaro e da qui, in camionetta con Marco e Luigi, i figli del responsabile del Consorzio della Val di Sole, ha raggiunto la Malga Alta, sopra Dimaro. Immersa nei boschi fitti sotto la Cima Nana e la Cima Costa. 
Abdul è felice del suo doppio lavoro, diviso tra Africa ed Europa: in inverno con i dromedari avanti e indietro dal grande palmeto fuori città fino al mercato in piazza e di ritorno, a portar merci d'ogni tipo per i mercanti suoi clienti e guadagnando quei pochi dirham sufficienti per campare lui e la sua numerosa famiglia; e d'estate in Italia, malgaro d'un buon numero di mucche da latte che accudisce con l'aiuto di Marco e di Luigi. Portandosi a casa, a settembre, un bel gruzzolo d'euro con i quali acquisterà magari due o tre cammelli nuovi e con quel che rimane potrà concedersi qualche spesa «pazza» per la sua nuova casetta di mattoni intonacati di rosa. 
Appoggiato al recinto dei maiali, che stanno ingozzandosi di siero di latte e di resti di verdura, Abdul osserva pensoso i bidoni di alluminio che in curva oscillano e sbatacchiano sul cassone del camioncino, giù per la strada bianca ai bordi dell'immenso pascolo. «Domani è meglio se li lego con una fune», pensa accarezzandosi le guance magre e nere di barba malfatta. Quando il rombo del motore si perde nel buio del bosco, lasciando in ricordo solo una piccola nube di polvere chiara che scende piano piano a depositarsi sull'erba, Abdul con un sospiro si gira e… La ragazza vestita di un abito di cotone leggero, verde a fiorellini piccoli e rosa, era lì, a due passi di distanza, e lo stava guardando con un sorriso. «Da dove salta fuori, questa qui?» pensò Abdul serio in volto. Capì subito che sarebbero stati guai seri, se qualcuno l'avesse trovato in malga in compagnia di una giovane donna dai lunghi capelli biondi che le scendevano sulle spalle seminude, una donna bellissima, dagli occhi azzurro-verdi come il suo vestitino, la pelle rosa e delicata, i piedi nudi e sporchi d'erba e di fango. Capì che doveva scoprire subito chi fosse, come si chiamasse, da dove venisse e se era diretta da qualche parte precisa. Magari aveva perso la strada, era una turista rimasta indietro, che s'era staccata dal gruppetto dei suoi amici e aveva perso l'orientamento… 
- Si è persa, signorina? - chiese Abdul con voce strozzata, lanciando un'occhiata alle mucche che come ogni tardo pomeriggio cominciavano piano piano ad avvicinarsi alla stalla brucando l'erba del grande prato antistante la malga.
 - Io abito qui! - rispose la ragazza con un sorriso.
 - Qui, dove? Qui vicino alla malga? - Sì… qui! - ripeté l'altra, indicando la montagna attorno, i boschi, la valle giù sotto… 
- Sei di Dimaro? - Io sono Ivana - rispose invece la fanciulla, che prese Abdul per mano e lo condusse verso la malga. - Dove mi porti? - Dentro… Tra un po' viene da piovere… L'uomo alzò gli occhi: il cielo era completamente sereno, un azzurro intenso che solo a metà luglio è possibile ammirare in Val di Sole. 
«Questa dev'essere matta!», pensò «Cammello» entrando nella cucina. - Senta… signorina Ivana, io devo andare nella stalla: le mucche stanno cominciando a entrare, vede?, e io devo mungerle… 
- Posso aiutarti? - A far cosa? - A mungere le mucche! A me piace mungere, soprattutto la sera… Il latte della sera è più buono, è quello della sera che fa venir buoni anche i formaggi... - Ma lei… tu che ne sai, dei formaggi? - Vieni, voglio aiutarti a mungere le tue mucche… - e Ivana prese un'altra volta Abdul per mano, ormai stava diventando un'abitudine!, e lo trascinò nella stalla. Afferrò uno sgabello e ne porse un altro al giovane marocchino. - Io mungo le mucche di sinistra, e tu quelle di destra… Abdul lavorò per due ore di continuo, senza alzare la testa da sotto le mammelle delle mucche e tirandosi in piedi solo per svuotare il latte nei bidoni. Quando giunse in fondo alla sua parte di stalla si girò e… Ivana, la ragazza vestita di verde, era sparita, ma i suoi bidoni erano tutti allineati in ordine e… pieni di latte! 
«Cammello» portò i bidoni nella casàra per tenerli lontani dalla stalla e solo quando ebbe messo al sicuro l'ultimo recipiente, si alzò a guardare la malga e vide un filo di fumo uscire dal comignolo. Ivana era ai fornelli, con addosso un grembiule bianco che Abdul non aveva mai visto. «Che se lo sia portato da dove abita?» - Ma dimmi esattamente dove abiti, Ivana - domandò Abdul riempiendosi un bicchiere di limonata. - Sai dov'è il bosco basso? - Quello vicino alla malga qui sotto, verso Dimaro? - Lì attorno. Io vengo da lì… 
- Ma io non mi ricordo d'aver mai visto baite o case, da quelle parti… 
- Forse perché, quando tu vai in giro, non sai guardare. Come quando sei nella tua Marrakech… al di là del mare… 
- Ma come fai, tu, a sapere che vengo da Marrakech? - Ci sono solo poche cose che non conosco, e quelle non sono cose che ti riguardano - rispose Ivana, togliendo dal fuoco un pentola e rovesciando in un piatto lo spezzatino. Vi aggiunse due fette di polenta appena rovesciata sul tagliere in mezzo al tavolo e… - Buon appetito, Abdul detto «Cammello» - sorrise Ivana, sedendosi di fronte all'uomo. - E tu non mangi? - Io non posso mangiare montone… - Montone? - esclamò Abdul piegandosi ad annusare il cibo e indovinando il profumo dolciastro, familiare e squisito del «suo» montone. - Ma come hai fatto? Dove l'hai trovato… quassù io non ho portato montone... - Dove abito io, di montoni ce ne sono molti, grossi e belli… - e a quel punto fuori dalla malga scoppiò il finimondo! Vento e acqua torrenziale si misero a frustare il pascolo e i tetti della stalla, della malga e della casàra: un freddo improvviso entrò dalle fessure delle pareti di legno, scompigliando la cenere del caminetto e spegnendo la candela accesa sopra la tavola. - Come hai fatto a prevedere questo temporale, se fino a mezzora fa il cielo era pulito e sereno? - Me l'hanno detto i fiori del pascolo - rispose Ivana staccando un pezzo di pane dalla pagnotta e mangiandolo con cura, gustandone il sapore e la dolcezza. - Te l'hanno detto… chi? - I fiori! Me l'ha detto il giglio martagone, che a metà pomeriggio ha cominciato a chiudere i petali per non rovinare i pistilli sotto l'acqua del temporale! Me l'hanno detto i tarassachi, che hanno piegato lo stelo e appoggiato il calice quasi a terra… me l'hanno detto anche i falchetti di bosco, che hanno cominciato a volare bassi, sfiorando le cime degli abeti… - Dimmi però come fai a sapere che sono marocchino, che vengo da Marrakech… - E che a Marrakech sei padrone di molti dromedari, vero? - Non farmi morire di curiosità, Ivana… Farò tutto quello che vuoi, ma dimmi come fai sapere… - L'ho letto prima nei tuoi occhi, Abdul. I tuoi sono occhi che amano i grandi spazi, gli orizzonti piatti dei deserti e conservi in fondo all'iride il colore rosso cupo del tuo deserto, quello che si stende a sud di Marrakech, attraversato da una carovana di dromedari! - Ma tu ci sei mai stata… - Io sono stata dappertutto - lo interruppe Ivana. - Senza mai muovermi dalla mia casa, io sono stata dappertutto… - ripeté levandosi il grembiule bianco accecante e mettendolo a mollo in un catino pieno per metà d'acqua calda che fumava nella semioscurità della cucina. Dopo averlo lavato e ben strizzato, Ivana aprì la porta che dava sul prato… - Ma dove vai, che fuori piove? - cercò di fermarla Abdul. - Adesso piove, ma fra due minuti smetterà e questa notte farà caldo, molto caldo… quel che ci vuole, per asciugare il mio grembiule… 
Non aveva terminato di parlare, che i goccioloni del temporale scemarono all'istante, il vento si placò attorcigliandosi ai recinti e le nuvole grigie e nere si aprirono per lasciar vedere il cielo già acceso di stelle. Ivana stese con cura il grembiule sull'erba del prato e… 
- Vado a dare la buonanotte alle mucche, così stanotte dormiranno tranquille… - mormorò la donna, dirigendosi allo stallone. Abdul rimase interdetto e senza parole, ma quando finalmente si mosse e la raggiunse, la ragazza era già all'interno. Allora l'uomo si bloccò, allungò il collo, guardò dentro e, alla luce fioca di una lampada polverosa vide Ivana passare da una mucca all'altra, appoggiare la sua fronte a quella dell'animale e sussurrare a ognuno strane e incomprensibili parole. - Cosa hai detto, alle bestie? - le chiese quando la fanciulla uscì con la lampada in mano. - Ho dato a ognuna un nome. Il «suo» nome, il nome che non hanno mai avuto. Se tu, un giorno, saprai parlare alle mucche come sai parlare ai tuoi dromedari, saranno loro a dirti come le ho chiamate. Allora saranno tue amiche per sempre e ti regaleranno il miglior latte della valle. Adesso andiamo a dormire… 
Un altro balzo al cuore costrinse Abdul a correre davanti a lei e a fermarla con le braccia tese in avanti. - Aspetta, fermati! Fermati un attimo: sai cosa mi succede, se da Dimaro domani all'alba sale qualcuno e ci trova a dormire sotto lo stesso tetto? Perdo come minimo il lavoro e vengo sbattuto prima in galera e poi, se mi va bene, rimpatriato in Marocco con un foglio di via definitivo! Ivana sorrise, allungò una mano e accarezzò la barba malfatta dell'uomo. - Credi a me, Abdul: non ti succederà nulla di tutto ciò, perché noi Vivane siamo invisibili… Ci facciamo vedere solo dagli uomini col cuore generoso e pulito: gli altri, tutti gli altri non ci vedranno mai! - Viva… che cosa? - Vivane! Io sono una Vivana, creatura del bosco che vive da millenni in questa valle… Vivana come altre mille fate della Natura, che sono mie sorelle… le Guane, le Salinghe, le Anguane, le Fade… - Ma scusa, non ti chiami «Ivana»? - Forse hai capito male, Abdul, perché io t'ho detto d'essere… Vivana, non… Ivana! Ma questo non cambia nulla, perché tu hai un cuore generoso e pulito, un cuore che merita il meglio… e io sono qui per questo! Quando il pomeriggio del giorno dopo Marco e Luigi salirono alla Malga Alta, non trovarono Abdul al suo posto. Anzi, non lo trovarono proprio! Le mucche erano state munte, governate e lasciate libere al pascolo; la stalla era scintillante di pulizia e nella casàra tutti i bidoni colmi di latte erano allineati e pronti per essere portati via. In cucina trovarono in mezzo al tavolo una torta alla ricotta dolce e squisita, ma di Abdul non c'era traccia. Lo cercarono i Carabinieri di Malé, i Forestali e i volontari del Soccorso alpino, che batterono invano tutti i boschi della valle; venne interessata anche l'Interpol, che pensò bene di chiedere un controllo a Marrakech: ai fratelli che abitavano nel grande palmeto di periferia, Abdul non aveva più dato notizie e non ne diede nemmeno quando la stagione estiva terminò. Di lui nessuno seppe più nulla. La scomparsa di Abdul meritò venti righe in cronaca sui giornali locali: «Malgaro marocchino abbandona il posto di lavoro»; su, alla Malga Alta, venne assunto un rumeno senza esperienza e sullo strano episodio calò ben presto il silenzio. 
- Però mi mancano, i miei dromedari - sussurra Abdul al calduccio della baita nel cuore del bosco che sovrasta la Malga di Sotto. - Mi manca il rosa della mia città, il profumo dei datteri… mi mancano i miei fratelli… mi manca l'Africa! - I fiori del pascolo, oggi, mi hanno parlato - risponde con un bisbiglio la bella Vivana. - Mi hanno parlato e mi hanno detto che le tue mucche hanno nostalgia di te. Mi hanno confidato che il loro latte non è più il latte di prima e che i padroni non sono contenti, dei nuovi malgari. Se tu vuoi, se non te la senti di restare qui con me, possiamo tornare, Abdul. Tu puoi tornare da dove sei venuto. Faremo come se tutto fosse stato un sogno, un sogno bellissimo… Un sogno per tutti… Appoggiato al recinto dei maiali, che stanno ingozzandosi di siero di latte e di resti di verdura, Abdul osserva pensoso i bidoni di alluminio che in curva oscillano e sbatacchiano sul cassone del camioncino, giù per la strada bianca ai bordi dell'immenso pascolo. «Domani è meglio se li lego con una fune», pensa accarezzandosi le guance magre e nere di barba malfatta. Quando il rombo del motore si perde nel buio del bosco, lasciando in ricordo solo una piccola nube di polvere chiara che scende piano piano a depositarsi sull'erba, Abdul con un sospiro si gira e… s'avvia in direzione della stalla. Appena però mette piede là dove le mucche lo stanno aspettando per la mungitura, gli vengono incontro settanta nomi sussurrati dalle grosse labbra baffute delle vacche… Io sono Caterina… E io Giuditta… Rosella… Violaciocca… Buffina… Io mi chiamo Madrigalia… E io Pezzata…


3 commenti:

Anonimo ha detto...

Grazie Marzia!
dopo una giornataccia in ufficio, con le ultime forze ho acceso il pc di casa per sbrigare le ultime faccende in sospeso prima della partenza per le ferie, con addosso il peso di quasi tutto il mondo e una stanchezza incalcolabile e cosa mi penso? di andare a vedere gli ultimi tuoi aggiornamenti... ed ovviamente mi soffermo - subito incuriosita - su questo pezzo: che bella favola!
E di colpo la mia giornata ha cambiato colore.
Un bacio, ETP

Anonimo ha detto...

@Elena: si è proprio una bellissima favola...ti aspetto per la prossima! Un abbraccio Marzia

Unknown ha detto...

Bellissima questa storia e ti auguro che questa fata possa realizzare ogni tuo desiderio